La seconda puntata della mia newsletter ‘Parlo spesso di bici’ – 1 marzo 2021

Oggi condivido alcune riflessioni su un tema importante. Solo che come tutti i temi importanti si rischia di rimanerne un po’ sopraffatt3, in un turbine di informazioni e di concatenarsi di approfondimenti che spostano sempre un po’ più in là il momento in cui ci si sente pronti a conviderne.

Ora, un po’ perché il 1 marzo è arrivato veloce – e pure volato – ed era il momento di scrivere, un po’ perché il mese di marzo è il momento in cui in modo più o meno sensato se ne parla, ho deciso di affrontarlo, sperando che questi spunti possano magari aiutare voi ad aggiungere nuovi punti di vista e me a muovermi in un labirinto di ricerche.

Parliamo di donne e di femminismo. Nel ciclismo, nella mobilità sostenibile, nell’attivismo.

La bicicletta è stata un potente mezzo di emancipazione e di libertà per le donne, dall’indipendenza negli spostamenti all’eguaglianza fino all’abbigliamento. Perché fermarci?

Le donne nel settore del ciclismo

Alcuni giorni fa ho partecipato al lancio di Women in Cycling una nuova iniziativa lanciata da Cycling Industries Europe, European Cyclists’ Federation – la federazione europea di cui fa parte Fiab -, Velokonzept, Mobycon e Conebi, con l’obiettivo di aiutare le donne ad ottenere maggiore visibilità nel settore del ciclismo, creando opportunità di networking, attraverso una piattaforma e un gruppo Linkedin, incoraggiando le organizzazioni del settore ad adottare obiettivi e politiche che migliorino la diversità e l’equilibrio di genere e aumentino la rappresentanza delle donne nei ruoli di leadership, promuovendo una campagna contro i panel di soli maschi negli eventi e garantendo che le diverse esperienze delle donne siano prese in considerazione e rappresentate negli organi decisionali, nei progetti e nei processi che interessano il settore.

Questa esigenza, a livello globale, nasce dall’evidenza che il ciclismo è tradizionalmente un settore dominato dagli uomini in tutti gli ambiti dell’industria, dal design alle vendite, dal marketing al giornalismo. E questo si ripercuote nella rappresentazione e nelle politiche di inclusione e promozione.

E visto l’orrendo commento, definito da Corriere impropriamente gaffe, fatto qualche settimana fa da Cordiano Dagnoni, poi eletto presidente della Federazione del Ciclismo Italiano (!), direi che di strada per un ciclismo inclusivo e rispettoso delle donne ne abbiamo parecchia da fare.

Che cos’altro ha detto? “Le quote rosa, nello sport e in generale, sono la più grossa discriminazione si possa fare. (…) magari mi entra in Consiglio Federale la casalinga di Vidigulfo a cui non frega niente di ciclismo al posto di un uomo competente e di buona volontà”. E ancora “le donne magari hanno anche impegni quotidiani e quindi devono chiedere prima il consenso a casa».

A tal proposito invito a leggere l’articolato commento di Umberto Preite Martinez “Abbiamo un problema con il sessismo”.

“Questo post è sessista”

Seguo alcuni di gruppi su Facebook di nerd della ciclomeccanica. Quelli in cui quando qualcuno posta la foto di un mozzo partono 50 commenti entusiasti. Li seguo con ammirazione e la speranza di farmi prima o poi appassionare almeno un po’ dalla manutenzione della mia bici, non dico tanto eh giusto la base.

Solo che periodicamente compaiono post in cui ci sono donne in mutande intente in pose plastiche e innaturali ad aggiustare una bici o post in cui prima di raccontare i successi di una atleta si commentano l’aspetto fisico o il fatto che sia pluri mamma. Insomma avete presente.

Ecco, sì quelli sono post sessisti. Non ci sono mezzi termini. “Non si può più dire nulla”. Eh no, si possono dire un sacco di cose, senza però oggettivizzare il corpo della donna – e su questo troverete spiegazioni molto più precise di quelle che potrei fare io – o sminuire i meriti sportivi o giustificarli con altro. Fateci caso. Non è una questione di “fastidio personale”. È una questione di cambiamento culturale. Pensare che sia solo un gioco, che possa far ridere, che sia solo una roba da maschi, che il rispetto per le donne non c’entri, è solo un modo per perpetuare una visione patriarcale anche in uno sport bellissimo come il ciclismo. E non c’entra nulla con la femminilità, il corteggiamento, l’apprezzamento, l’attrazione sessuale, e manco con la virilità.

Quindi sosteniamoci, e lo dico a tutt3 donne e soprattutto uomini, quando spuntano questi post nei gruppi Fb o whatsapp. Facciamolo notare – e lo dico soprattutto a me stessa – con decisione, senza insulti o giri di parole. Andiamo a sostenere chi lo scrive per prima, perché riceverà commenti e offese. Ma non c’è giustificazione, o continueremo a trovarci messaggi sessisti di persone ai vertici che passano per “gaffe”. 

Metterci la faccia

Da un po’ più di un anno sono presidente di Bike Pride Fiab Torino e uno dei motivi per cui ho accettato di rappresentare l’associazione e di metterci la faccia – oltre al contributo che spero di poter dare in termini di contenuti ed esperienza di tanti anni di attivismo e comunicazione – è anche per quella sottorappresentazione delle donne nell’attivismo, in politica, nel mondo della mobilità, del ciclismo

Quindi seguendo il monito che Donata Columbro non si stanca mai di ricordare, se ti invitano a parlare devi dire dì di sì,anche se è faticoso, anche se si porta dietro tutta quell’ansia da prestazione e sindrome dell’impostore che siamo bravissime a farci venire (e in questo sì che mi dico che sono brava), ma se diciamo di no, è probabile che quel posto verrà occupato da un uomo e la rappresentazione sarà ancora una volta sbilanciata.

E così ci metto la faccia, provo a farlo nel migliore dei modi, provo a fare rete, a raccontare la mia esperienza e quella di altre, cerco di arricchire la mia visione ogni giorno, sperando che la fuori altre donne si sentano un po’ più rappresentate e magari un po’ più in diritto di dire la loro e di occupare quello spazio in strada con la propria bicicletta, che sia una bici da città o una bici da corsa.


A proposito di ciclismo di genere ne avevo scritto su Bikeitalia qui: Donne in bicicletta: un ciclismo di genere? Pedaliamo oltre gli stereotipi

Una cassetta degli attrezzi (no, non per la bici)

Su questo immenso tema, su cui spero di ricevere anche da voi che leggete commenti e spunti di riflessione, metto a disposizione alcuni riferimenti (post di autrici di libri) che per me sono stati utili per iniziare a crearmi una cassetta degli attrezzi da cui pescare quando mi trovo a dover prendere posizione nei confronti. La strada è lunga dicevamo, poco per volta ci si attrezza:

  • quote rosa, un provvedimento temporaneo perché “il nostro cervello è abituato a percepire il femminile come inferiore e il maschile come più autorevole”. Lo scrive Irene Facherisi. Qui in una spiegazione video semplice ed incisiva di Michela Murgia
  • a proposito di asterischi, di femminili e di schwa, ovviamente la fonte da citare è Vera Gheno. Perché il cambiamento culturale passa anche dal linguaggio che decidiamo di usare. E noi che ci occupiamo di mobilità attiva, non di mobilità dolce o lenta, e siamo persone che usano mezzi di trasporto, e non ciclisti, automobilisti e pedoni, lo sappiamo bene 😉
  • O sul sito https://italianoinclusivo.it/